Fronte comune dei frontalieri contro la tassa sulla salute

Da mesi i lavoratori e le lavoratrici frontaliere sono sul piede di guerra contro la tassa sulla salute. Nell’immagine una dimostrazione nel maggio 2024 davanti alla sede delle Regione Lombardia di Como.  Ti-Press 

Riuniti in assemblea sabato a Varese, i principali sindacati italiani e svizzeri hanno ribadito il loro deciso “no” alla tassa sulla salute che il Governo italiano vorrebbe applicare ai “vecchi” frontalieri

“L’introduzione nella finanziaria 2024 della famigerata tassa sulla salute sui cosiddetti “vecchi” frontalieri imponibili solo in Svizzera […] viola esplicitamente il trattato internazionale [tra Svizzera e Italia, ndr], introduce la doppia imposizione malgrado le chiare regole OCSE e si pone in contrasto con l’art. 32 della Costituzione rispetto all’universalità dei trattamenti sanitari essenziali”, recita la risoluzioneCollegamento esterno accolta da sei sigle sindacali svizzere e italiane al termine dell’assemblea organizzata sabato a Varese.

CGIL, CISL, UIL, UNIA, OCST e SYNA chiedono perciò di “fermare l’ingiusta tassa”, riservandosi il diritto, in caso contrario di adire le vie legali per verificare la costituzionalità del balzello, introdotto dal Governo italiano nella finanziaria 2024, poco dopo la firma del nuovo accordo sui frontalieri siglato da Berna e Roma. Balzello, va precisato, che fin qui non ha potuto essere applicato perché la Svizzera, in assenza di una base legale, non comunica alle autorità italiane i dati fiscali dei “vecchi” frontalieri.

Fino a 200 euro al mese

L’accordo tra Italia e Svizzera definisce due categorie di lavoratrici e lavoratori frontalieri: quelli “vecchi”, che lavoravano già nella Confederazione prima del 18 luglio 2023, e quelli nuovi, ovvero coloro che hanno iniziato l’attività oltreconfine dopo l’entrata in vigore dell’intesa. I “vecchi frontalieri” continuano ad essere tassati alla fonte in Svizzera, mentre quelli nuovi pagano l’IRPEF in Italia.

Quella che i sindacati definiscono una “tassa” (mentre la Regione Lombardia preferisce chiamarla “contributo”) dovrebbe essere applicata ai “vecchi” frontalieri.

Per le cure mediche, questi ultimi hanno la possibilità di optare o per il sistema sanitario svizzero, pagando l’assicurazione malattie elvetica, che costa fino a circa 500 franchi mensili, o per quello italiano. Sui circa 65’000 “vecchi” frontalieri sono però pochissimi quelli che prediligono la prima soluzione. “Se invece un lavoratore frontaliero opta per il sistema sanitario italiano, erogato dalla Regione, quest’assicurazione vale per tutta la sua famiglia ed è pagata dalle imposte. Trovo dunque corretto che il vecchio frontaliere passi pure lui alla cassa”, ci aveva dichiarato Massimo Sertori, assessore della Regione Lombardia e responsabile per i rapporti con la Confederazione.

La legge di bilancio dello Stato italiano prevede un prelievo compreso tra il 3 e il 6% del salario netto, per un minimo di 30 e un massimo di 200 euro mensili. Sono le regioni che possono scegliere l’aliquota da imporre. Nelle stime sono previste entrate totali annue attorno ai 110 milioni di euro.

L’obiettivo è di destinare questi fondi al personale sanitario italiano delle strutture di cure nelle regioni di frontiera, al fine di contrastare l’esodo all’estero e in Ticino in particolare.

Doppia imposizione

I sindacati, appoggiati da diverse amministrazioni comunali, fanno da parte loro valere che questa categoria di lavoratori partecipa già al finanziamento del sistema sanitario italiano, poiché la Svizzera riversa a Roma il 40% delle imposte alla fonte prelevate nella Confederazione e continuerà a farlo sino al 2034. Una somma piuttosto consistente: nel 2023 i cosiddetti ristorni sono ammontati a oltre 108 milioni di franchi.

La tassa sulla salute “reintroduce di fatto la doppia imposizione” ed è quindi una “violazione palese dei trattati internazionali”, ha sottolineato Giuseppe Augurusa, responsabile CGIL frontalieri, ai microfoni della RSI.

La giustizia quale ultima ratio

Per aggirare il “no” elvetico alla notifica dei dati fiscali dei “vecchi” frontalieri e poter quindi applicare la “tassa” o il “contributo” sulla salute, il Parlamento italiano ha approvato lo scorso dicembre un emendamento che introduce l’autocertificazione fiscale. In altre parole, i “vecchi” frontalieri dovrebbero dichiarare loro stessi il reddito che percepiscono sul quale poi calcolare la tassa sulla salute. In caso di omissione, sono previste sanzioni pari al doppio dell’importo dovuto.

“Un’oscena scorciatoia che consiste nello spostare la responsabilità dell’impasse dello Stato ai lavoratori”, stando alle dichiarazioni di Augurusa riportate dal giornale La RegioneCollegamento esterno.

Una schiarita potrebbe giungere tra una settimana: le organizzazioni sindacali sono state infatti convocate al tavolo interministeriale costituito per definire, tra le altre cose, uno statuto del lavoratore frontaliero.

Nel caso in cui le richieste dei sindacati dovessero cadere nel vuoto, la strada è già tracciata: “Qualora Governo e Regione Lombardia dovessero tradurre questa norma e renderla applicabile – ha dichiarato alla RSI Marco Contessa, segretario UST CISL dei Laghi –, l’unico strumento che ci resta è di prendere il primo lavoratore che ci darà mandato e di promuovere un’azione pilota in sede giudiziale per vedere se davvero questa norma, come noi sosteniamo, è incostituzionale o se invece ci sbagliamo”.

Daniele Mariani

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