Una pianta antichissima, dai mille usi, inclusi quelli terapeutici e ricreativi, della quale non si butta via nulla, intelligente e realmente eco sostenibile. Una specie talmente rivoluzionaria nella sua perfezione, quasi scomoda, che… è stata fatta sparire dai circuiti ufficiali. Ma mai del tutto. Disobbediente quanto basta, tenace e resistente, la canapa sta tornando prepotentemente a far parlare di sé, nella moda così come in moltissimi altri campi. Sono svariati i progetti che si stanno attivando, da qualche anno a questa parte, per riportare in auge nel nostro paese la filiera industriale tessile di questa pianta.
C’era una volta la canapa
La canapa è una delle piante più antiche al mondo: viene coltivata da oltre 10.000 anni. Per secoli è stata un’importante fonte di cibo e fibre tessili, sia per le antiche popolazioni della Cina, sia per quelle dell’antica Mesopotamia e del Mar Mediterraneo. Nel corso della storia gli utilizzi della pianta di canapa e dei suoi derivati sono stati molteplici: dalla semplice corda al tessuto grezzo, dalla carta alla tela fino alle vele, senza dimenticare – naturalmente – i fiori e i semi, noti fin dall’antichità per le loro proprietà terapeutiche. Usata tantissimo nel periodo compreso tra il 2700 A.C. e l’epoca Romana, è stata una coltura essenziale per gli abitanti del Nord America, soprattutto nei primi anni del 1600. Qualche secolo più avanti, invece, fu impiegata per realizzare un prototipo di automobile green, in grado unire sostenibilità, efficacia, sicurezza e design: era la Model T. ideata da Henry Ford negli anni 30 del 900, interamente costruita e alimentata con i derivati della pianta di canapa (etanolo).
La coltura per usi tessili ha un’antica tradizione, americana, europea ma soprattutto italiana.
Prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, l’Italia coltivava ettari ed ettari di canapa, raggiungendo livelli oggi inimmaginabili (si parla di una quantità di canapa superiore a quella ottenuta oggi su scala mondiale, secondi solo alla Russia). Una tradizione che appartiene a ogni paesino del nostro Paese, e che ha rappresentato sostegno sicuro per le varie famiglie della comunità (nella sola Garfagnana, si stima che negli anni tra il 1895 e il 1905, se ne producessero circa 85 mila tonnellate l’anno).
La filiera in Italia è stata attiva fino agli anni 50/60 poi, a causa del boom economico e l’entrata in vigore delle fibre sintetiche meno costose, e dopo la forte propaganda antidroga che ha demonizzato tale vegetale, c’è stato un abbandono costante della povera canapa. Un grosso errore.
Tanti pro, nessun contro
Errore, sì. Perché la canapa ha tantissimi pro… e nessun contro! Si tratta di una pianta eco sostenibile a 360°. La sua coltivazione prevede un consumo di acqua inferiore rispetto ad altre piante come il cotone e/o il lino; non ha bisogno di pesticidi, diserbanti o fertilizzanti aggressivi per il terreno, anzi, è lei stessa a nutrire la terra, con un processo di ossigenazione che riesce arricchirla di azoto, bonificando dai metalli pesanti.
La macerazione è un processo biologico, enzimatico, termofilo e totalmente naturale per estrarre la fibra. In ottica di vantaggi legati all’economia circolare, gli scarti, che in realtà sono co-prodotti, come il canapulo (parte legnosa del vegetale che “avanza” durante le fasi di raccolta e di strigliatura), o i fanghi (acque usate nel processo di macerazione) o i semi, possono essere riutilizzati in altri settori come il comparto bio-edile, agro alimentare e cosmetico.
La fibra che se ne ricava dà origine a un filato nobile, dalle mille proprietà: termoisolante e traspirante insieme, fresco d’estate e caldo in inverno. Con il filato di canapa si possono realizzare tessuti resistenti all’usura, agli strappi e alle deformazioni, rendendoli durevoli nel tempo. In più riflettono i raggi ultravioletti, schermano dai campi elettrostatici, non conducono l’energia elettrica, non irritano la pelle e tengono lontani i batteri dalla superficie del nostro corpo (antisettici e antifungini).
Questa fibra, in Italia, non viene più prodotta e quella che prima era un filiera perfettamente funzionante e 100% Made in Italy, è stata completamente smantellata.
Ripristinare la filiera: un progetto possibile?
Numerosi i progetti e le iniziative che sono nate nel corso degli ultimi anni per cercare di redimere canapa e derivati: dall’istituzione di Federcanapa nel 2016 fino agli ultimi finanziamenti recentemente stanziatidall’Emilia Romagna per re-integrare la filiera della canapa nella regione, passando dai pionieristici progetti di EP Eco Planning – Future of Fashion, che si propone di riavviare la produzione dal vegetale fino al tessuto, compresa la progettazione di un nuovo filato artificiale rinnovabile (la viscosa di canapa). Si tratta di riprendere in mano la tradizione contadina, valorizzarla e trasformarla in un’industria verde in piena regola. Superare i pregiudizi, scardinare i preconcetti e istruire sul potenziale di questa fibra che, a differenza di prima, ha tutte le potenzialità per diventare un materiale appetibile anche per quel mondo della moda che l’ha sempre etichettato come poco cool e dall’apparenza grezza. Ma che, grazie alle nuove tecnologie di filatura e nobilitazione, può raggiungere livelli di finezza, morbidezza, brillantezza molto diversi rispetto a venti anni fa, rendendo questo tessuto adatto a mille usi, dalfashion estremo fino ai tessili per la casa.
In un’ottica di sostenibilità ambientale e sociale, il reintegro di questa pianta e dei suoi derivati, rappresenterebbe la scelta più semplice ed efficace. Talmente facile da essere stata sapientemente ostacolata.
[di Marina Savarese]