Riccardo Franciolli

Il vecchio accordo sulla tassazione dei frontalieri è stato definitivamente messo in pensione. Lo scorso 4 ottobre si è infatti tenuta ad Aosta l’ultima riunione bilateraleCollegamento esterno prevista dall’accordo tra Svizzera e Italia del 1974.

Il vecchio testo prevedeva, tra l’altro, che il 40%, poi sceso al 38,5% delle imposte alla fonte prelevate dalla Confederazione alle e ai lavoratori frontalieri fosse versato allo Stato italiano: i cosiddetti ristorni fiscali che andavano a favore dei comuni, province e comunità di montagna di frontiera.

“In questi 50 anni esatti di validità dell’accordo – racconta il direttore della Divisione delle contribuzioni del Canton Ticino, Giordano Macchi, che ha guidato la delegazione svizzera ad Aosta – abbiamo versato nelle casse italiane 2 miliardi di franchi. Ora abbiamo congedato il vecchio accordo e il testimone passa a quello nuovo”. Con cambiamenti importanti.

Il nuovo accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri è entrato in vigore il 17 luglio 2023 ma si applica fiscalmente solo dal 1° gennaio 2024. Rispetto al suo “predecessore” esso separa i vecchi dai nuovi frontalieri (coloro che hanno un contratto di lavoro firmato dopo l’entrata in vigore dell’accordo). I primi continueranno ad essere tassati solo in Svizzera fino alla loro pensione, i secondi da subito anche in Italia.

Infine, dopo un periodo transitorio di 10 anni, dal 2034, se ci saranno ancora vecchi frontalieri, questi ultimi continueranno a essere tassati al 100% in Svizzera e la Confederazione potrà trattenere la totalità del gettito fiscale. I ristorni saranno definitivamente aboliti. 

Cosa succederà in Italia

I soldi versati dalla Confederazione verranno sostituiti dall’intervento finanziario di Roma. A tale scopo è stato istituito il “Fondo di sviluppo e potenziamento delle infrastrutture delle zone di confine italo-elvetiche”.

A regime, nel 2045, la autorità italiane prevedono che il fondo avrà una dotazione teorica di 221 milioni di euro all’anno, destinati a essere investiti nei territori di frontiera. Fatto che dovrebbe rassicurare soprattutto i comuni italiani che temevano di restare senza risorse tra dieci anni con l’estinzione dei ristorni dalla Svizzera.

Una paura giustificata. Come si può notare nella tabella seguente, negli ultimi anni, considerato il costante aumento delle lavoratrici e lavoratori frontalieri in Ticino, questi ristorni si aggirano attorno ai 100 milioni di franchi all’anno.

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La soppressione dei ristorni dovrebbe garantire maggiori entrate al Canton Ticino. “Questo è un punto molto importante del nuovo accordo – sottolinea ancora Macchi – ma al momento è prematuro fornire delle cifre sul futuro gettito. Quest’ultimo dipenderà da un insieme di fattori, tra cui il numero di vecchi frontalieri che continueranno a lavorare in Ticino”.

Una previsione condivisa dal responsabile del Centro competenze tributarie della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, Samuele Vorpe: “Fino al 2033, anno in cui cadrà l’obbligo di versare i ristorni all’Italia, per il Ticino vi saranno maggiori uscite. A partire dal 2034, in teoria, la tendenza dovrebbe invertirsi con un ipotetico aumento delle entrate fiscali per il Cantone proprio perché non ci sarà più l’obbligo di versare i ristorni. Nessuno, però, può prevedere con sicurezza come si evolverà il mercato del lavoro fra dieci anni”.

Ristorni e il loro utilizzo

La parte delle tasse pagate dai lavoratori frontalieri in Svizzera, che rientrano in Italia agli enti locali, alle province e ai comuni di confine, serve – o dovrebbe servire – per gli investimenti pubblici, soprattutto per la mobilità transfrontaliera.

Come stabilisce chiaramente il Decreto del Ministro delle FinanzeCollegamento esterno del 23 marzo 1998 (art. 6), i ristorni devono essere utilizzati “per la realizzazione, complemento e potenziamento di opere pubbliche di interesse generale volte ad agevolare i lavoratori frontalieri con preferenza per i settori dell’edilizia abitativa e dei trasporti pubblici”.

I comuni, le province e le Comunità montane non hanno però l’obbligo di informare in dettaglio sul loro utilizzo, come ha sottolineato il Governo ticinese in rispostaCollegamento esterno a un’interrogazione dell’allora deputato leghista in Gran Consiglio Lorenzo Quadri: la destinazione dei fondi è di competenza della autorità italiane.

Sempre nella risposta dell’esecutivo ticinese si legge che “nel corso delle riunioni della commissione mista vengono presentate le principali realizzazioni ma la giustificazione dettagliata dell’utilizzo della totalità degli importi versati non è prevista dall’accordo e risulterebbe problematica (oltre un centinaio di beneficiari)”.

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La lista degli importi girati dalla Svizzera all’Italia non è difficile da reperire. Il rendiconto di come questi soldi vengono spesi invece non viene reso pubblico. Il Ministero dell’Economia e delle Finanza italiano fornisce però una copia “riservata” al Cantone.

In cima alla lista dei comuni che ricevono i maggiori fondi c’è Como con 7,2 milioni ricevuti nel 2021. I suoi 5’272 frontalieri hanno contribuito, tra le altre cose, a pagare in parte un cantiere problematico, ossia quello delle paratie del lungolago. Iniziato 15 anni fa e bloccato più volte tra fallimenti e inchieste giudiziarie, dovrebbe concludersi prossimamente.

La quota destinata invece alle “spese correnti” dei comuni di frontiera era inizialmente del 10%, poi salita fino al 30% nel corso dei decenni (art. 2, comma 14 della finanziaria 2004Collegamento esterno). Nel 2020 è stata fissata al 50%. Questo significa che un franco su due inviato in Italia non viene investito, come da accordi originali, in servizi e infrastrutture a favore della mobilità transfrontaliera.

Nel 2015 alcuni deputati del Mendrisiotto in Gran Consiglio avevano chiesto al Governo ticinese con una mozioneCollegamento esterno di avviare delle trattative con le autorità italiane affinché i ristorni venissero utilizzati in modo corretto. Senza successo.

Ma vi sono anche esempi virtuosi. Il comune di Verbania, ad esempio, negli ultimi anni ha investito i fondi frontalieri esclusivamente in opere pubbliche: un parcheggio vicino al porto di Intra, il lungolago di Pallanza (rifatto in un anno, a un centesimo del costo di quello comasco), rotatorie e asfaltature di strade.

I 2,2 milioni di euro incassati annualmente grazie ai frontalieri ¨”vengono ancora utilizzati esclusivamente in cantieri infrastrutturali” ha assicurato ai colleghi del Corriere del TicinoCollegamento esterno l’ultima sindaca Silvia Marchionini. “Forse anche per questo – conclude Marchionini – le differenze con la Svizzera, girando per la città, si notano un po’ meno”.

Alcuni intoppi iniziali

Entrato in vigore ai fini fiscali il primo gennaio 2024, si dovrà attendere l’anno prossimo per verificare i primi effetti del nuovo accordo. Nonostante ciò, è già stato oggetto di alcune incomprensioni. “È inevitabile – ammette Macchi – che il un nuovo accordo crei dei ‘problemi d’infanzia’. La grande parte di essi è già risolta, come il telelavoro”.

Due pesci, uno italiano e l'altro svizzero, che si contendono i lavoratori frontalieri.

Restano aperti alcuni fronti: la controversa lista dei comuni del Canton Ticino che non riconosce i vecchi frontalieri della provincia di Sondrio. Secondo l’interpretazione ticinese non si è dunque tenuti a versare per questi lavoratori i ristorni ai comuni della provincia.

O ancora la questione dei lavoratori di alcuni comuni della provincia di Monza e della Brianza che non sono mai rientrati nelle liste dei vecchi frontalieri con lo svantaggio di dover pagare le imposte in Italia, decisamente più elevate. Questo nonostante i comuni coinvolti si trovino, totalmente o parzialmente, nella zona di 20 chilometri dal confine, come richiesto espressamente dall’art. 2 dell’accordoCollegamento esterno.

Senza dimenticare le azioni di disturbo del Governo italiano attuate dopo l’entrata in vigore dell’accordo, come il nuovo regime tributario che comporterà un aggravio fiscale per i nuovi frontalieri, la tassa sulla salute per i vecchi frontalieri, il telelavoro ridotto al 25% e non al 40% come richiesto e la riforma della fiscalità internazionale promossa da Roma che potrebbe annullare lo statuto di frontaliere. Tutte iniziative che preoccupano parecchio le lavoratrici e lavoratori italiani attivi in Ticino.

Proprio per questo motivo, “anche il nuovo accordo – chiarisce e conclude Macchi – prevede esplicitamente una Commissione mista formata dalle autorità competenti dei due Paesi che si dovrebbe incontrare almeno una volta all’anno per discutere l’interpretazione o l’applicazione dell’accordo e appianare eventuali problematiche”.

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Di VALLE INTELVI NEWS

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