Secondo i sindacati italiani e svizzeri, la “tassa sulla salute”, che dovrebbero pagare i vecchi frontalieri per partecipare al finanziamento del servizio sanitario nazionale italiano, sarebbe incostituzionale. Una misura che per ora resta impraticabile visto il rifiuto elvetico di trasmettere alle autorità italiane i dati fiscali dei vecchi frontalieri.
In una conferenza stampa online, le sigle sindacali italiane Cgil-Cisl-Uil e i loro colleghi elvetici di Unia, Ocst e Syna, hanno voluto fare il punto della situazione sulla cosiddetta “tassa sulla salute” (che la Regione Lombardia preferisce chiamare “contributo sulla salute”) alla luce di un parere giuridico che la definisce incostituzionale.
Forti della perizia legale, per i sindacati la norma introdotta unilateralmente dall’Italia e prevista dalla legge di bilancio 2024, non può essere applicata. Come ha chiarito Pancrazio Raimondi della Uil, la disposizione – definita più volte “pasticciata” – creerebbe una discriminazione tra cittadini italiani e dell’Unione Europea, violerebbe gli obblighi internazionali sottoscritti dall’Italia con la Svizzera (accordo sull’imposizione dei frontalieriCollegamento esterno) e introdurrebbe una doppia imposizione fiscale in violazione dei principi dell’Ocse eCollegamento esterno della convenzione contro la doppia imposizioneCollegamento esterno firmata dai due Paesi. “Un atteggiamento tipico dell’Italia – sottolinea Raimondi – che non rispetta i vincoli internazionali quando emana delle leggi e non ne chiarisce la sua applicabilità”.
Tassa e non contributo
Giuseppe Angurusa della Cigl, sulla base dal parere legale, invita a parlare di “tassa” e non di contributo sulla salute, come insistono al Pirellone. Si tratta infatti di un’imposizione italiana sul reddito (e non di un contributo unico) sebbene i vecchi frontalieri siano già tassati in Svizzera. Partendo da questo ragionamento, Angurusa ritiene che “siamo in presenza di una doppia imposizione che è contraria agli accordi internazionali”.
La situazione è comunque incerta. In Italia i costi della sanità vengono finanziati dalle imposte dei cittadini. Nel 2022 la sanità italiana è stata finanziata dal 21% dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) che è un’imposta diretta, personale e progressiva.
I “vecchi frontalieri”, tassati alla fonte dalla Confederazione, usufruiscono del servizio sanitario italiano sebbene non partecipino al suo finanziamento. L’assessore lombardo Massimo Sertori ha tempo fa ricordato che se il frontaliere opta per il sistema sanitario italiano, erogato dalla Regione, quest’assicurazione vale per tutta la sua famiglia ed è pagata dalle imposte. “Trovo dunque corretto che il vecchio frontaliere passi pure lui alla cassa”, chiosa Sertori.
I sindacati, per voce di Giuseppe Angurusa, rigettano questa interpretazione. Secondo il parere legale, con il pagamento dei ristorni – ovvero quella parte delle imposte alla fonte prelevate dalla Svizzera e riversate nelle casse italiane – i frontalieri parteciperebbero alla fiscalità generale. Dunque, i frontalieri contribuirebbero al pagamento del sistema sanitario nazionale. Proprio per questo motivo i sindacati chiedono con forza l’immediato ritiro della norma.
Tavolo interministeriale
Cgil, Cisl e Uil, dal lato italiano e Unia, Ocst e Syna dal lato svizzero, sono tornate pertanto a chiedere il superamento della “tassa della salute” e la convocazione del tavolo interministeriale. Solo in questa sede, secondo i sindacati, è possibile risolvere tutti i problemi nati con il nuovo accordo. “A quasi un anno dalla sua entrata in vigore, per ora nessun tavolo interministeriale è stato convocato, seppur fortemente invocato dai sindacati: una vergogna”, secondo Pancrazio Raimondi.
Una misura di difficile attuazione
Come ha sottolineato Marco Contessa della Cisl, la “tassa sulla salute” è stata introdotta come emendamento alla legge di bilancio 2024, senza avere in chiaro l’applicabilità o meno di questa norma. Vi è infatti un’oggettiva difficoltà d’applicazione. Serve infatti la collaborazione delle autorità svizzere per ottenere i dati fiscali sui vecchi frontalieri che hanno scelto il sistema sanitario italiano.
A inizio maggio, però, Grigioni e Ticino hanno cortesemente respinto la richiesta lombarda di avere i dati sui vecchi frontalieri, chiarendo che per il momento non c’è la base legale per fornire questi dati a uno Stato terzo.
Con il no dei Cantoni confederati, è obiettivamente impossibile per le regioni italiane individuare i vecchi frontalieri che hanno optato per il sistema sanitario italiano e soprattutto conoscere i loro dati fiscali. Dunque, la norma che i sindacati ritengono incostituzionale, rischia di non poter essere applicata per mancanza dei dati necessari per fissare l’ammontare del contributo, o tassa che sia, da far pagare ai vecchi frontalieri.
In ballo circa 80 milioni di euro all’anno
I contributi totali previsti – che la Regione tiene a sottolineare resteranno sul territorio lombardo – saranno relativamente alti, considerato che la maggior parte dei 93’000 frontalieri provengono dalla Lombardia Secondo una prima stima, se calcoliamo mediamente un contributo di 100-120 euro a frontaliere, potrebbero entrare nelle casse lombarde circa 80 milioni di euro all’anno.
Il Piemonte, per voce del suo presidente Alberto Cirio, rinuncerebbe a questo balzello. Le altre due regioni, Valle d’Aosta e provincia autonoma di Bolzano, non hanno espresso alcun parere in merito anche se, vista l’esiguità dei frontalieri coinvolti, la cifra in ballo non sarebbe particolarmente significativa.
La Lombardia, per contro, per non rinunciare a priori a questa entrata ribadisce la sua intenzione di applicare la norma dal prossimo anno. Questo significa che entro la fine del corrente anno dovranno essere definite le modalità di tassazione e del loro prelievo.