“Lui è Claudio Messora, il giornalista che ha creato Byoblu, la televisione dei cittadini, si candida per contribuire alla libertà di informazione, e mai come in questi due anni passati abbiamo capito di quanto ce ne sia bisogno. Forse gruppo in cui si candida come indipendente (Italia sovrana e popolare) non ce la farà ma questa volta non facciamo l’errore di votare partiti solo per abitudine, cerchiamo di far eleggere persone valide. Manuela Valletti
Democrazia è solo una parola. Se non si riferisce a prassi e regole comuni, è una parola vuota. E certamente, di questi tempi, lo è decisamente, …vuota. Siamo tutti d’accordo. Non è che mi dovete convincere. Abbiamo una Costituzione, ma non la legge più neanche la Corte Costituzionale. I Governi fanno le leggi al posto del Parlamento e il Parlamento (che avrebbe il potere legislativo) sta a guardare. Anche se provasse a farle, peraltro, dovrebbe scontrarsi con le direttive di emanazione europea, che gli lasciano il 10% di margine di autonomia. L’Italia è nella prassi una Repubblica monarchico-presidenziale a sovranità limitata, ma poiché formalmente è ancora una Repubblica parlamentare, le elezioni vengono indette con fastidio e si studiano tutti i modi per marginalizzare i cittadini che onestamente vogliono concorrere. I media, sui quali ogni sana democrazia dovrebbe basarsi, sono ormai come la politica: frutto di una concentrazione progressiva che ha accentrato nelle mani di pochi sia le televisioni, i giornali, che i partiti. Come diceva il Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, patron della P2, cui festosamente aderiva un giovane Berlusconi, era necessario creare due grandi aree, il centro destra e il centro sinistra, la cui alternanza desse l’illusione della democrazia. Ma alla fine, a comandare sarebbe stato sempre lo stesso centro di potere. Ma allora l’Unione Europea era ancora di là da venire. Oggi quella visione è superata. I presidenti del Consiglio sono tutti podestà forestieri, a cominciare da Mario Monti, che prese in mano le redini del Paese essendo a capo di una delle più potenti organizzazioni di politica extraparlamentare globale: la Commissione Trilaterale, che nel 2011 piazzò due dei suoi migliori uomini a capo di due stati del sud Europa, con un golpe finanziario in piena regola, in Grecia e in Italia, e tutto nel giro di sole 24 ore. Per chi è arrivato solo adesso, ricordo che il primo studio che produsse la Commissione Trilaterale si chiamava The Crisis of Democracy, e sosteneva che le democrazie non funzionavano perché erano lente e farraginose. Per risolvere il problema era necessario che il popolo stesse ai margini del dibattito pubblico, letteralmente (parole loro) “in apnea”. Ovvero, che i più si occupassero di calcio e di gossip. Questo lo sosteneva l’organizzazione di cui era capo Mario Monti. Da lui in poi non abbiamo più avuto modo di avere un governo guidato da qualcuno che fosse autenticamente espressione della volontà popolare, tra ministri negati da Mattarella, sconosciuti avvocati arrivati dal nulla, rappresentanti delle élite francesi in missione a Palazzo Chigi, emissari di JP Morgan che volevano cambiare la Costituzione e banchieri centrali che in precedenza erano alla guida di Goldman Sachs quando Goldman Sachs truccava i conti di Atene per consentirle di entrare nell’Euro, per poi accusare la Grecia di avere truccato i conti una volta raggiunti gli scranni della Banca Centrale Europea.
Dopo Giorgio Napolitano, il primo Presidente della Repubblica ad essere rieletto solo per evitare che i grillini (quelli con l’apriscatole in mano) potessero seriamente fare danni ( perché “in fondo la Costituzione non lo vietava” ), siamo sempre stati sotto lo schiaffo di qualcuno, che fosse l’Unione Europea, che fosse la Nato, che fosse l’OMS della famiglia Gates o le strategie di ingegneria sociale di George Soros. Gli ultimi due anni poi abbiamo toccato vette sublimi: TSO obbligatori, reclusione forzata, ghettizzazione, stato di polizia…
Quindi non c’è da stupirsi che, al solo sentire la parola “democrazia”, tanta gente cada a terra in prenda a convulsioni di risa incontrollate. Di contro, abbiamo certamente fatto un lavoro culturale strepitoso. Discussioni, convegni, conferenze, informazione… Siamo arrivati perfino a costruire una nostra Radio Londra in chiaro, finanziata da milioni di cittadini consapevoli che questo sistema non li rappresenta più. Questo però non è bastato ad opporsi al monopolio legittimo della forza, la prerogativa che lo Stato ha di poter impiegare le forze dell’ordine per assicurare il rispetto di leggi incostituzionali, in primis perché provenienti dall’esecutivo senza che vi fosse il prerequisito della necessità e dell’urgenza, e secondariamente perché contrarie ai diritti costituzionali.
Da qui la decisione di tanti italiani, che hanno avuto il coraggio di animare le piazze in questi anni così difficili, di fare l’unica cosa che abbia senso fare adesso: costituirsi in forma di partito per tentare di ergersi come un baluardo di fronte all’ondata di piena che sta travolgendo tutto, e che minaccia di essere sempre più violenta, in assenza di una diga che possa quantomeno contenere questa inondazione di portata biblica.
Sappiamo tutti che non potrà bastare. Sappiamo bene che non sarà una marcia trionfale. Forse non vinceremo. Però possiamo rendergli la vita difficile. Possiamo costringerli a combattere. E quando qualcuno è costretto a combattere, si logora. E quando si logora può commettere degli errori. Uno di questi errori potrebbe anche essergli fatale. Scrive Paulo Coehlo che la notte è più buia, poco prima dell’alba. Ci sono muri che sembrano invalicabili, prima di crollare all’improvviso. Per conquistare un territorio bisogna costruire degli avamposti e difenderli. Uno di quegli avamposti è il Parlamento. Non possiamo perdere quella posizione. Il Parlamento è un piede di porco dentro al sistema. Il Parlamento è nostro, è la casa del Popolo. Avere un tetto è importante. I presidi non si mollano. La scacchiera va difesa. Se necessario ci si arrocca, ma quella è la nostra linea del Piave. Il moloch va colpito su più fronti, da dentro e da fuori.
Sappiamo cosa vogliamo lasciarci alle spalle. Quel senso di amara disillusione che ci prende, tutte le volte che parliamo di democrazia, lo conosciamo bene. E sappiamo che battere vie inesplorate, arrampicandosi verso cime che si protendono verso il cielo, è un rischio. Tutti abbiamo paura di cadere. Non dobbiamo guardare sotto.
C’è una partita da giocare, al termine della quale saremo un po’ più liberi, o forse solo un po’ meno schiavi. Ci sarà un tempo per arrendersi e infine, un giorno, dirsi anche addio. Ma quel tempo… non è oggi.
Il mio intervento a Torino: https://claudiomessora.it/2022/09/05/non-guardare-sotto/