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La comunità delle lavoratrici e dei lavoratori transfrontalieri, come traspare in questi giorni sui social media, è in subbuglio e le recenti mosse di Roma rischiano di aprire un nuovo fronte, proprio ora che, dopo una lunga gestazione, è entrato in vigore da alcune settimane il nuovo accordo fiscale italosvizzero.

È cambiato il vento?

Il regime tributario che è stato introdotto, come è noto, comporterà un aggravio fiscale per i nuovi frontalieri/e (ma non sarà applicato alle e ai pendolari italiani assunti prima del 17 luglio scorso). Inoltre, dal prossimo mese ai “vecchi” frontalieri sarà applicata la controversa tassa sulla salute (o quota di compartecipazione alle spese sanitarie regionali) prevista dalla legge di bilancio, per un importo che andrà dal 3% al 6% del reddito netto.

E sullo sfondo – è cronaca di questi giorni – si profila la riforma sulla fiscalità internazionale che secondo alcuni pareri potrebbe addirittura mettere in discussione lo stesso statuto del frontaliere. Il decreto legislativo del Governo Meloni contiene una delega attualmente all’esame delle Camere che rischia, con l’introduzione del concetto di “frazionamento quotidiano”, di assoggettare integralmente questa categoria di contribuenti integralmente al fisco italiano.

Una prospettiva che sopprimerebbe le residue agevolazioni fiscali (ad esempio la franchigia che riduce una quota del reddito imponibile) accordate alla manodopera pendolare e renderebbe quindi assai meno interessante un’occupazione in Svizzera.

Preoccupazioni tra gli industriali svizzeri

Questa evoluzione generale comincia inoltre a suscitare qualche riflessione anche al di qua della frontiera. Se è vero, infatti, che il nuovo accordo fiscale è stato promosso dalla Confederazione, sollecitata da determinati ambienti politici e sociali a rendere meno attrattivo il mercato del lavoro interno, le recenti iniziative dell’esecutivo italiano stanno creando qualche timore alle aziende locali, già alle prese con carenze di organico.

“Se prima mancava il personale specializzato nell’industria ora il fenomeno si è esteso anche alle posizioni meno qualificate” e si osservano “meno candidature anche dall’Italia”, rileva Stefano Modenini, direttore dell’Associazione delle industrie ticinesi (AITI).  Per ogni impiego offerto sono infatti ora la metà le risposte totali (compreso chi risiede in Ticino) che giungono alle aziende del cantone: “Evidentemente i nuovi frontalieri riflettono di più prima di venire assunti, visto che ora sono soggetti a maggiori oneri fiscali e ognuno si fa i conti in tasca”.

E la cosiddetta tassa della salute rischia di aggravare il quadro, tanto che l’AITI, analogamente a quanto fatto dalle organizzazioni sindacali italiane a Roma, ha inviato una lettera di chiarimenti a Berna, al Dipartimento federale delle finanze (DFF) e a quello degli Affari esteri (DFAE).  

“Vogliamo capire se questo prelievo viola l’accordo fiscale firmato recentemente con l’Italia, che prevede per i vecchi frontalieri un’imposizione esclusiva da parte della Svizzera e che, in quanto tale, prevale sulle norme nazionali”, spiega il responsabile delle industrie ticinesi.

Ecco cosa cambia tra vecchi e nuovi frontalieri

Questo contenuto è stato pubblicato il 21 lug 2023Per conoscere le nuove regole abbiamo chiesto l’aiuto a Kathrin Egli Arginelli, vicedirettrice della Divisione delle contribuzioni del Canton Ticino.

“Roma tassa il personale di aziende svizzere”

Pur riconoscendo che ci sono “pareri discordanti” – come quello dell’assessore lombardo al Welfare Guido Bertolaso che in Consiglio regionale l’ha appena definita “sacrosanta” – le autorità svizzere, secondo Stefano Modenini, non possono limitarsi ad assistere passivamente, ma devono chiedere informazioni al riguardo a Roma. “Ci sono di mezzo le aziende svizzere”, sottolinea il portavoce degli industriali, secondo il quale questo prelievo, che “può arrivare fino a 200 euro al mese, (…) va a togliere soldi dalle tasche dei lavoratori e alle lavoratrici delle nostre imprese” ed è quindi doveroso accertare la sua giustificazione giuridica.

Inoltre, dal profilo finanziario, i frontalieri e le frontaliere contribuiscono già al gettito italiano con gli oltre cento milioni di ristorni versati dai Cantoni all’Italia. Sotto l’aspetto tecnico invece, precisa sempre il direttore dell’AITI, viene definita quota di compartecipazione alla spesa sanitaria delle regioni, ma poi si fa riferimento alle aliquote che sono una prerogativa delle imposte e questo sembra contraddire la potestà tributaria esclusiva in capo alla Confederazione, in base alla citata intesa italo-svizzera. 

Frontalieri penalizzati dal telelavoro al 25%

Imprese elvetiche che tra l’altro hanno già dovuto subire lo smacco del telelavoro, considerato un fattore rilevante di competitività nell’assunzione di personale: Roma infatti, si è limitata a concedere solo il 25% di attività a casa da parte dei frontalieri e delle frontaliere – a regime fiscale invariato -, contro il 40% richiesto da Berna, che ha tentato invano di replicare il modello concordato con Parigi, che fa riferimento a quella quota (in uso tra l’altro anche nel resto del Vecchio Continente).

Fonte TV Svizzera

Di VALLE INTELVI NEWS

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Un pensiero su “Offensiva contro i frontalieri? Industrie svizzere chiedono spiegazioni”
  1. Complimenti per l’articolo, un compendio delle reazioni che una assurda disposizione sta creando. Minaccia di rompere equilibri che risalgono al 1974 senza proporre nulla di costruttivo. Le conseguenze potrebbero sotterrare l’economia di confine, deprimendo i consumi dei frontalieri, salassati e perseguitati proprio da chi diceva di non voler mettere le mani nelle tasche degli italiani.
    Mi chiedo se non sia il caso, come ho fatto io, di unirsi alla petizione online che ha quasi raggiunto le 10.000 firme. Il mio commento é a disposizione di tutti, chi vuole può copiarlo e incollarlo a proprio nome.
    Grazie a Valleintelvinews e a chi vorrà sottoscrivere a questo link:
    https://www.change.org/p/annulliamo-la-legge-sulla-tassa-dei-frontalieri-per-sostenere-la-sanit%C3%A0

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