di Cesare Sacchetti
E’ da qualche settimana che se ne sente parlare, ed è da qualche settimana che stiamo vedendo all’improvviso molti trattori sulle strade italiane ed europee.
Nelle ultime settimane, abbiamo visto aumentare enormemente l’esposizione mediatica di quelli che vengono definiti impropriamente “agricoltori” poiché non danno voce in nessun modo a tutta l’agricoltura italiana, e non sollevano le spinosi questioni che andrebbero sollevate per ciò che riguarda questo settore.
L’agricoltura è oggi uno dei settori che purtroppo sono più influenzati dalle politiche europee in quanto esso è strategico per gli interessi delle “grandi” multinazionali che vogliono disporre della produzione di cibo mondiale.
L’UE ha consegnato l’agricoltura alle multinazionali
A Bruxelles, non è un segreto, c’è tutta una fitta rete di lobbisti di corporation di ogni tipo che sono i veri registi della Commissione europea e del Parlamento europeo.
Le istituzioni europee sono l’esempio più fulgido delle distorsioni dell’UE poiché esse non hanno alcun reale rapporto di rappresentatività nei confronti degli Stati membri.
I commissari europei non sono eletti dai popoli europei e non rispondono praticamente mai degli scandali che li vedono coinvolti.
L’esempio più clamoroso e recente al riguardo viene proprio dal presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, accusata di aver fatto guadagnare al marito Heiko più di 700 milioni di dollariattraverso il contratto di fornitura di vaccini firmato con la Pfizer.
L’agricoltura non è purtroppo a sua volta immune da questa logica. A Bruxelles si premurano di difendere gli interessi di produttori internazionali quali, ad esempio, la famigerata Monsantonei quali troviamo dentro, ancora una volta, i fondi di investimento di BlackRock e Vanguard, nei quali a loro volta sono presenti i capitali dei colossi della chimica DuPont, dei Rockefeller, dei Rothschild e di quelle famiglie di finanzieri e industriali che hanno avuto per anni nelle loro mani lo scettro dell’economia mondiale.
Le conseguenze del lobbismo comunitario sono la morte dell’agricoltura italiana. A Bruxelles si lavora per garantire il predominio di tali gruppi a discapito dei produttori italiani.
Tra i numerosi casi a disposizione si può citare quello della produzione di grano, dove l’UE paga gli agricoltori per non produrre grano italiano e per favorire invece le importazioni di quello canadese.
E lo stesso vale per prodotti, quali il riso, che viene importato da Paesi del Sud Est asiatico, una circostanza messa in rilievo anche dall’attuale premier itinerante Giorgia Meloni qualche anno fa, quando essa gridacchiava qualche slogan nel tentativo, non riuscito, di guadagnarsi la patente di “patriota” o “sovranista”.
Gli slogan della Meloni ai tempi della commedia pseudo-sovranista
L’UE non applica nessun dazio nei confronti di queste importazioni. Al contrario facilita l’arrivo di queste merci che hanno standard qualitativi nettamente inferiori ai nostri e uccidono le eccellenze agricole italiane.
Qualsiasi signora che va a fare la spesa ogni mattina, potrà raccontare come i banchi di frutta, pesce e verdura siano invasi da prodotti che arrivano dall’Africa, dall’Asia o dall’America Latina.
Non si parla di frutti esotici quali la banana o il mango, ma delle arance e dell’olio tunisino che sono finiti sui nostri scaffali poiché Bruxelles ce li ha fatte finire.
L’UE non lavora per difendere gli interessi agricoli ed economici dell’Italia ma quelli appunto dei gruppi che hanno costituito il cuore pulsante della globalizzazione, giunta al suo tramonto da qualche tempo a questa parte per il progressivo ritorno alle produzioni nazionali già iniziato al di fuori dell’UE.
Ora la questione chiave è questa. Quelli che vengono definiti “agricoltori” non denunciano l’omicidio dell’agricoltura italiana ordinato dall’UE ed eseguito dai vari governi coloniali di palazzo Chigi degli ultimi 30 anni.
Non chiedono in alcun modo di abbandonare l’UE e non si avvicinano nemmeno lontanamente a questo terreno.
Non c’è stato un agricoltore tra quelli raggiunti dai media che abbiano denunciato le dinamiche che hanno portato alla fine di una agricoltura dalla qualità pregiatissima come quella italiana.
Qualcuno potrebbe obiettare che i leader di tali proteste non sono ferrati su queste questioni ma se non lo sono allora non fanno in nessun modo il bene dell’agricoltura italiana, e la loro insistenza nel voler salire sul palcoscenico di Sanremo a tutti i costi fa pensare a qualcos’altro francamente che alla semplice ignoranza.
Sanremo è l’esibizione dell’osceno. E’ già improprio e assurdo parlare di “Festival della canzone italiana” perché la musica è ormai fenomeno marginale in tale manifestazione e a fatica può definirsi italiana in quanto essa è il riflesso di quelle orrende tendenze importate dall’anglosfera quali il rap e l’hip hop.
Generi musicali, se così si possono definire, che sono stati coltivati dalla CIA, come ha rivelato il rapper americano Ice Cube, per far sviluppare ai giovani un forte senso di nichilismo che li aliena da valori tradizionali quali la famiglia, la patria e la religione per condannarli ad un penoso limbo di decadenza morale, culturale e spirituale.
Sanremo è l’espressione della decadenza che rappresenta questo processo “culturale”. Ogni sera c’è un capitolo di propaganda liberal – progressista che si esterna nel monologo contro l’uomo bianco, cavallo di battaglia dei liberalismo sorosiano, della mediocre comica di regime, Teresa Mannino, o piuttosto nella celebrazione della vieta retorica “anti-fascista”, altro fortino decaduto dietro il quale si ripara questa tossica intellighenzia liberale.
Sanremo è tutto ciò da cui dovrebbe stare lontano un agricoltore che vuole difendere i prodotti italiani e dare un futuro dignitoso ai suoi figli lontano da tale degrado e fuori dall’Unione europea che non ha altro scopo che quello di sradicare ogni traccia di identità nazionale dei Paesi europei, soprattutto quella alimentare, che è un elemento cardine dell’immenso e unico patrimonio culturale dell’Italia.
La infinita ballata dei falsi oppositori
Quando poi vediamo i leader di queste proteste sui media e quando vediamo quali sono le loro compagnie politiche, non si fa fatica a comprendere chi ci sia veramente dietro queste iniziative tutt’altro che spontanee e che escludono quegli agricoltori, non gestiti dagli attuali partiti. che invece vorrebbero un cambiamento reale.
E’ il caso ad esempio di uno dei rappresentanti delle proteste che sta godendo della maggiore esposizione mediatica, quale Filippo Goglio, che ha chiesto insistentemente di salire sul palco dell’Ariston.
Se si dà uno sguardo al profilo del consigliere regionale in Lombardia della Lega, Alessandro Cantoni, lo troviamo in un’immagine di qualche giorno fa assieme proprio a Goglio che piuttosto che rifuggire i tentativi di corteggiamento dei partiti che continuano ad uccidere l’agricoltura italiana per conto di Bruxelles, si fa avvicinare da questi.
Addirittura questi agricoltori hanno espresso tutta la loro gratitudine alla regione Lombardia gestita dal presidente leghista, Attilio Fontana, l’uomo che attuava ordinanze illegali contro i lombardi a colpi di imposizioni sulle mascherine all’aperto e che voleva imporre restrizioni ad hoc contro i non vaccinati, nuovi “ebrei” delle ipotetiche leggi razziali vaccinali.
Stesso discorso vale per l’altro leader delle proteste, Danilo Calvani, che anni fa era noto come una delle voci del movimento dei Forconi, altro fenomeno che avrebbe potuto potenzialmente diventare soggetto pericoloso per lo stato profondo italiano ma che è stato soppresso attraverso gli emissari che lo governarono e lo portarono alla sua dissoluzione.
Calvani ha manifestato qualche tempo fa una vera e propria ammirazione per Puzzer, il cosiddetto “leader” della protesta dei portuali di Trieste.
E qualcuno probabilmente già ricorderà la storia. Noi, dal principio, dicemmo immediatamente che Puzzer era stato chiaramente inviato per affossare quella protesta che stava dando così tanti grattacapi al governo Draghi.
Sin dal principio era possibile comprendere che Puzzer era per così dire pilotato da certi ambienti quando annunciò di aver fatto il vaccino e quando aderì alla falsa narrativa della farsa pandemica sui distanziamenti.
La esposizione mediatica che riceveva era la conseguenza del suo essere un referente di questi poteri e la sua candidatura alle ultime elezione politiche con il falso oppositore Paragone, approdato poi in Fdi, non era altro che la naturale conseguenza di un percorso che è sempre stato gestito dallo stato profondo.
Anche con Calvani assistiamo a dinamiche altrettanto simili. I media gli stanno dando una enorme copertura mediatica e invitiamo i lettori a soffermarsi su questo meccanismo.
Quando un personaggio rappresenta davvero una minaccia contro il sistema difficilmente trova asilo sui media mainstream che seguono una regola che viene infranta solamente in alcuni casi.
Mai dare esposizione mediatica nazionale alle vere minacce poiché si corre il rischio di alimentarle piuttosto che sopirle.
Solamente quando un personaggio arriva ad un bacino di consensi talmente vasto i media iniziano ad interessarsi di lui poiché in quel caso si presenta un elemento che rischia veramente di provocare un crollo del sistema.
In caso contrario, si ignora il “problema” fino a quando è possibile ignorarlo. Queste proteste, in conclusione, non sono altro che un fenomeno creato a tavolino da determinati ambienti che cercano di attuare all’infinito e senza soluzione di continuità la stessa identica strategia di gatekeeping osservata in passato, ovvero quella che si fonda sulla costruzione di oppositori di comodo utilizzati da questi poteri per portare il consenso popolare verso il binario che gli è più congeniale.
Questa tecnica però è affetta da un grave limite. Non è ripetibile all’infinito. Essa, superata un certo utilizzo, si rivela persino deleteria poiché la popolazione ha sviluppato in qualche modo gli anticorpi necessari per via dei precedenti inganni e non darà più il suo consenso fino a quando non vedrà davvero la comparsa di elementi che sfidano realmente i principi sui quali si fonda il liberal – progressismo e gli interessi del mondialismo in Italia.
La liberal – democrazia può funzionare fino a quando essa riesce a contenere o addomesticare il dissenso contro di essa.
Quando tale soglia di tolleranza viene superata, c’è ben poco da fare per tenerla in vita.
E’ una regola scritta nella storia della politica che qualcuno nei decadenti ambienti della massoneria italiana ancora si rifiuta di accettare e la ripetizione all’infinito di strategie ormai inefficaci non è altro che una sorta di accanimento terapeutico.
Qualcuno non si rassegna alla fine del vecchio status quo, e per questo qualcuno l’impatto contro la realtà sarà molto più doloroso di quanto ci si possa immaginare.