Le principali cause della malattia di Parkinson vanno ricondotte all’esposizione a varie tipologie di sostanze inquinanti. In particolare, un ruolo determinante lo giocherebbero alcuni pesticidi, solventi industriali come il tricloroetilene e, in generale, gli inquinanti atmosferici. È quanto ha affermato, senza mezzi termini, un editoriale pubblicato ad inizio gennaio sul Journal of Parkinson’s Disease, una rivista scientifica altamente specializzata. A detta dei ricercatori, “la malattia di Parkinson è il disturbo cerebrale in più rapida crescita al mondo e l’esposizione a sostanze tossiche ambientali ne è la principale causa”. Nel tentativo di dare spiegazioni alternative, l’analisi ha preso in considerazione anche potenziali fattori esterni diversi dall’inquinamento – come il miglioramento delle competenze diagnostiche, l’invecchiamento della popolazione e la genetica – tutti però ritenuti insoddisfacenti.
Sulla base di precedenti evidenze, i pesticidi in particolare sarebbero gli inquinanti ambientali con la più chiara relazione con la patologia. Sono infatti numerosi gli studi sia epidemiologici che condotti sugli animali che sostengono una relazione causale tra alcuni pesticidi e il Parkinson. Al riguardo, uno dei primi indizi è arrivato negli anni ’80, quando sette giovani adulti hanno sviluppato un parkinsonismo allo stadio terminale in modo subacuto dopo l’iniezione endovenosa del farmaco di sintesi 1-metil-4-fenil-l,2,3,6-tetraidropiridina (MPTP). L’MPTP, una volta assimilato dall’organismo, viene convertito nel suo metabolita MPP+, il quale mostra una notevole somiglianza strutturale con il paraquat, uno dei diserbanti più utilizzati al mondo. Delle ricerche epidemiologiche successive hanno poi rafforzato la tesi secondo cui vi sia un forte legame tra la malattia di Parkinson e la precedente esposizione ai pesticidi. In alcuni casi, come in uno studio condotto in Canada, la correlazione tra le due variabili è risultata fortissima, ovvero, pari a 0,96 quando il massimo è 1. “È importante notare che il rischio di sviluppare il Parkinson – si legge nell’editoriale – non è limitato a coloro che lavorano professionalmente con i pesticidi. Anche chi vive in prossimità di campi irrorati è a rischio. Ad esempio, in Francia, è emerso che l’aumento del rischio di sviluppare la patologia si estende anche a chi vive vicino a terreni agricoli”.
Tuttavia, poiché è improbabile che i pesticidi siano una spiegazione soddisfacente per gli alti tassi della malattia nelle aree urbane, è verosimile che anche altri contaminanti ambientali ne siano responsabili. Tra tutti, il più gettonato è la sostanza chimica di sintesi tricloroetilene. Creato per la prima volta nel 1864, il tricloroetilene si è diffuso a partire dagli anni ’20 e da allora ha trovato una miriade di applicazioni militari, industriali e commerciali, tra cui lo sgrassaggio dei metalli, la decaffeinizzazione del caffè e il lavaggio a secco dei vestiti. Si stima che un lavoratore su 12 nel Regno Unito e 10 milioni di americani abbiano lavorato con questo solvente volatile. Per comprendere la portata della contaminazione, basti pensare che, in Italia, uno studio ha rilevato la presenza della sostanza nelle urine del 75% degli individui analizzati. Il tricloroetilene è un noto cancerogeno e i suoi effetti tossici sono noti almeno dal 1932. È nel 1969 però che l’esposizione alla sostanza è stata per la prima volta collegata ai sintomi tipici del Parkinson. Nel 2008, dei ricercatori hanno poi scoperto che tre operai hanno sviluppato la malattia dopo aver usato il tricloroetilene per molti anni per sgrassare e pulire delle apparecchiature metalliche. Quattro anni dopo, uno studio ha confermato i timori iniziali riscontrando un rischio di sviluppare il Parkinson tra gli individui che avevano avuto un’esposizione al solvente del 500% superiore rispetto ai loro fratelli gemelli.
Nelle aree urbane, infine, è possibile che un ruolo determinante nell’eziologia del Parkinson lo rivesta l’inquinamento atmosferico, il cui potenziale legame con la malattia neurologica sta cominciando a diventare chiaro solo ora. Secondo uno studio pubblicato quest’anno su Neurology, le persone che vivono in regioni con livelli alti di inquinamento atmosferico hanno un rischio maggiore del 56% di sviluppare la malattia di Parkinson rispetto a coloro che vivono in aree con livelli più bassi di inquinamento atmosferico. Stabilire però quale inquinante specifico sia responsabile della patologia non è cosa semplice. Attualmente, la ricerca si sta concentrando sul particolato atmosferico. Le particelle inquinanti sospese, specie quelle molto fini, sono infatti in grado aggirare i normali meccanismi di protezione dell’organismo e penetrare nel naso, nelle vie respiratorie e nei polmoni. Ed è noto che tali particelle siano spesso composte da metalli pesanti, provenienti dalle automobili e dall’industria, tossici per le cellule del cervello. In sostanza, sebbene servano ulteriori conferme, come nel caso dell’inquinamento atmosferico, è possibile affermare che il ruolo della contaminazione ambientale nello sviluppo del Parkinson è abbastanza evidente e allarmante.
[di Simone Valeri]